Si racconta che all'angolo di una via ci fosse un cieco che appeso al collo aveva un cartello con la scritta: “Cieco dalla nascita”. Riceveva poche elemosine. Passò di lì un pubblicitario che gli modificò il cartello. Poiché le offerte fioccavano, il cieco, quando lo incontrò nuovamente, volle sapere cosa avesse scritto. “Il messaggio è lo stesso, ho solo cambiato la strategia di comunicazione” gli rispose il copywriter. “E cosa hai scritto?” domandò il cieco, curioso. “E' il primo giorno di primavera e non posso vederlo”.
Questo aneddoto, riportato da Jacques Seguela, sottolinea il fatto che la comunicazione può risultare più efficace se utilizza la modalità del racconto, che amplifica il “potere di convocazione” della fonte trasmittente e consente maggior chiarezza e sintesi. Una volta agganciata l'attenzione del fruitore si potrà proseguire con gli approfondimenti del caso. Di solito (a mio avviso inopportunamente) si fa il contrario: prima si enuncia il postulato, la teorizzazione, l'assioma, poi si fornisce un esempio. Non costerebbe nulla fare prima l'esempio, anche in forma aneddotica: ci garantiremmo una maggiore attenzione e comprensione.
Perché così pochi lo fanno? La risposta è di una ovvietà disarmante: “Perché non lo si è mai fatto”. In realtà, per essere innovativi, basterebbe smettere di fare le cose come si sono sempre fatte ma vi è una forte resistenza ad applicare questi semplici concetti innovativi. Eppure, come ricorda il prof. Connant, rettore della Haward University, “La tartaruga fa progressi solo quando esce dal guscio”.
Siamo pieni di esempi che dimostrano che la sintesi è preferibile all'essere prolissi. Quando chiedevano al grande Michelangelo cosa mettesse nella sua arte per scolpire così bene, rispondeva: “Non metto nulla, levo solo il superfluo. Dentro la pietra c'è la statua.”
Non stiamo marciando, spesso anche nelle università, nella direzione giusta: i nuovi linguaggi invadono il mondo, è sempre più difficile capirsi, viviamo in un momento di diluvio comunicativo.
Afferma John Peers: “L'informazione che abbiamo non è quella che desideriamo. Quella che desideriamo non è quella di cui abbiamo bisogno. L'informazione di cui abbiamo bisogno non è disponibile”. Che fare, allora?
Per migliorare l'efficacia della comunicazione dobbiamo semplificare senza impoverire, sia nella comunicazione orale, sia in quella scritta. Non si tratta di parlare, ma di farsi ascoltare; non di scrivere, ma di farsi leggere. Ecco alcuni suggerimenti elementari.
Oltre a porre gli esempi prima dei postulati, che vale per entrambe le forme di comunicazione, nella forma scritta è bene verificare, dopo una prima stesura, la leggibilità del testo. Lo studioso Rudolf Flesh ha concepito una formula che consente di misurarne la leggibilità, basata sul concetto che le frasi lunghe (con più di 25 parole), che contengono parole lunghe (con molte sillabe) sono più difficili da comprendere rispetto alle frasi brevi con parole corte.
In altre parole: “Forse sì” è più efficace di “Non si esclude che la risposta possa essere affermativa”.
Perché non semplificare, allora?
Su 100 parole dovrebbero esserci 10 periodi e non più di 230 sillabe.
Ecco la formula di Rudolf Flesh:
206 - (p + 0,6 s)
206 = parametro che consente il rapporto in %
(p) è il numero medio di parole per frase
(06) è il numero medio di sillabe per 100 parole.
Provate ad applicare la formula della leggibilità a un testo come quello che segue. Risulterebbe totalmente incomprensibile.
La tabella deve essere letta da sinistra a destra, ma non per righe orizzontali, che già sono abbastanza incomprensibili, bensì procedendo in modo libero da una casella all'altra, altalenando: provate ad incrociare la sequenza di lettere e numeri. Le frasi non hanno alcun significato in nessun caso, anche se, come nei discorsi dei politici della Prima Repubblica, a un primo approccio distratto possono apparire abbastanza sensate.
Questo è un esempio di gergo tecnico, il classico politichese. Il gergo deve essere ridotto al minimo, se non del tutto eliminato. Italo Calvino lo definiva l' Antilingua.In un vecchissimo e gustoso articolo, pubblicato su Il Giorno del 3 febbraio 1965, Calvino forniva questo esempio: “Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L'interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po' balbettando, ma attento a dire tutto quello che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: 'Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la caldaia e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata'.
Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: 'Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, di aver effettuato l'asportazione di uno dei detti articoli nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell'avvenuta effrazione dell'esercizio soprastante'.
E' bene ricordare che il gergo trae origine dai codici criptati, usati per la difesa delle corporazioni. Questo dimostra quanto la sua natura sia difensiva, non-comunicativa. Il gergo ha indubbiamente una notevole utilità (di abbreviazione, per l'emanazione di un certo “senso di appartenenza” al gruppo) ma ha il difetto di non essere comprensibile per i non addetti ai lavori.
Il modo più semplice per essere creativi (nello scrivere, nel parlare, nelle relazioni con gli altri) è quello di essere imprevedibili.
Nulla è più annoiante di poter prevedere quello che accadrà. Infatti se tutto procede come vi aspettavate, il tasso di prevedibilità è massimo e di conseguenza è alto pure il tasso di noia. Per produrre soluzioni innovative senza in realtà inventare nulla basta traslare le cose da un ambiente a un altro: è un sistema pratico e semplicissimo per incrementare la creatività. Il fenomeno si può definire ri-contestualizzazione, o, se preferite, traslazione da un contesto ad un altro. Un messaggio (abituale in un determinato contesto) appare nuovo in un contesto diverso. Ecco alcuni esempi. Un dialogo, consueto per una sceneggiatura, è d'impatto in una relazione ufficiale; un claim pubblicitario può essere il finale di un articolo, l'incipit di un racconto può essere l'inizio di una lettera, oppure l'esatto contrario; una breve intervista informativa può sostituire una noiosa circolare; il tono serioso di una circolare può essere un testo umoristico; il titolo di un articolo può essere un claim pubblicitario.
Ma soprattutto ricordiamoci, come diceva Gilbert Arland: “Se non riesci a colpire il bersaglio la colpa non è mai del bersaglio”.
Enrico Cogno, sociologo, presidente del Centrostudi Comunicazione Cogno Associati, docente all'Università di Perugia e presso ilConsorzio Universitario Nettuno, ha pubblicato per Franco Angeli “Come risolvere i problemi”, “Comunicazione e tecnica pubblicitaria nel turismo” e “Il punto su internet”.
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